La vitalità delle antiche tradizioni pagane in Sardegna è testimoniata simbolicamente dalla dedica effettuata tra il 212 ed il 217 d.C. all’imperatore Caracalla, in occasione dei restauri dell’antico tempio di Antas (comune di Fluminimaggiore, Sardegna sud-occidentale): un edificio che integrava il culto imperiale (fondato su un’articolata organizzazione provinciale) con il culto salutifero del grande dio eponimo della Sardegna arrivato dal Nord Africa, il Sardus Pater figlio del libico Maceride, interpretatio romana del dio fenicio di Sidone (Sid figlio di Melkart), dell’eroe greco Iolao compagno di Eracle e probabilmente dell’arcaico Babi, forse un dio venerato da età preistorica.
Risulta singolare il fatto che la dedica epigrafica in dativo, la quale collega il tempio del dio nazionale dei Sardi al nome dell’imperatore Caracalla negli anni della “ripresa cosmocratica”, sia stata effettuata una ventina d’anni dopo la prima vicenda a noi nota nella vicina area mineraria: qui era stato esiliato un gruppo cristiani romani, inviati in condizioni di schiavitù secondo Ippolito eis metallon Sardonias e liberati per l’intervento di Marcia, la compagna di Commodo. Tra essi era anche il futuro papa Callisto dopo il fallimento della banca di Carpoforo. Vicenda localizzata nelle vicine miniere sulcitane rette da un procuratore imperiale, un epitropeuon tes choras nell’età di Commodo, personaggio apparentemente analogo al proc(urator) metallorum et praediorum, un liberto imperiale di età severiana, forse a Metalla e in quella stessa valle di Antas attraversata dalla strada a Tibula Sulcos.
Il distretto minerario appare fortemente presidiato dall’esercito romano e in particolare dalla cohors I Sardorum nei primi secoli dell’impero, in relazione proprio alla sorveglianza sui deportati e sugli schiavi impiegati nell’estrazione dei minerali (in particolare piombo argentifero). Il nome in dativo dell’imperatore sembrerebbe farci escludere che l’iniziativa del restauro del tempio sia stata assunta da Caracalla; più probabilmente da un funzionario imperiale presente in Sardegna, forse il governatore provinciale; più difficilmente dal responsabile dell’area mineraria, dato che il procuratore a noi noto negli stessi anni è un liberto imperiale.
Qui in onore di Caracalla ammalato, fervente ammiratore di Ercole e Libero (dii patrii di Leptis Magna, città natale proprio dell’imperatore) fu restaurato il tempio di Sardus Pater e di suo padre libico Eracle-Maceride-Melkart: la loro immagine emerge ora sorprendentemente dalle terrecotte architettoniche conservate al Museo di Fluminimaggiore, accompagnate dalle figure di Demetra-Cerere e proprio di Libero-Dioniso. E questo in una dimensione tutta interna alla Sardegna, addirittura “identitaria”, se veramente Cerere allude alla produzione di grano dell’agricoltura sarda e forse alla fortuna dei populares nell’isola alla fine dell’età repubblicana; e se Libero-Dioniso-Bacco collegano le origini della dinastia severiana proveniente dalla Tripolitania con il lontanissimo ricordo dei Sardolibici isolani, noti per l’amore per il simposio e la loro caratteristica kulix, la coppa per bere il vino: forse un modo per richiamare antichi contatti tra la Sardegna e la Libia. Infine Sardus Pater è collocato in una posizione di rilievo, accanto ad Ercole, con la caratteristica corona ornata da tre file di penne, il calathos piumato con un’iconografia che coincide con l’immagine rappresentata sulle monete di età triumvirale coniate da Ottaviano per ricordare un antenato, Marco Azio Balbo governatore dell’isola: il dio presenta quelle caratteristica “nazionali” e addirittura “regali” (già ben documentate per Sid) che richiamano l’eleutheria dei Sardi della Barbaria ricordata da Diodoro Siculo proprio in età triumvirale. Né va dimenticato che un altro antenato rimane sullo sfondo, Settimio Severo, padre di Caracalla, originario di Leptis Magna in Tripolitania, che aveva governato come questore l’isola nel 174 d.C. Il santuario ha rappresentato nell’antichità preistorica, poi in quella punica e soprattutto in età romana, il luogo alto dove era ricapitolata tutta la storia del popolo sardo, nelle sue chiusure e resistenze, ma anche nella sua capacità di adattarsi e di confrontarsi con le culture mediterranee.
Antas (Fluminimaggiore), Il tempio
1. CIL X 7539
Imp(eratori) [Caes(ari) M(arco)] Aurelio Antonino Aug(usto) P(io) f(elici). Temp[l(um) D]ei [Sa]rdi Patris Bab[i..], / ve[tustate c]on[lap(sum)] a [funda]m(entis) restitue[nd(um)] cur[avit] Q(uintus) Co[ce]ius Proculus [p(raefectus) p(rovinciae) S(ardiniae) ?].
Traduzione: All’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, Pio, Felice. Il [prefetto della provincia Sardinia] Quinto Coceio Proculo ha curato che venisse restaurato dalle fondamenta il tempio del dio Sardus Pater Bab[i..], rovinato dal tempo.