Attilio Mastino
La Cartagine di Virgilio e di Augusto
La recentissima pubblicazione del volume voluto dall’Agence de mise en valeur du patrimoine et de promotion culturelle intitolato Carthage, maîtresse de la Méditerranée, capitale de l’Afrique (Histoire & Monuments, 1), (IXe siècle avant J.-C. — XIIIe siècle). AMVPPC, SAIC Sassari, Tunisi 2018, S. Aounallah, A. Mastino (a cura di), ha portato a sintesi la riflessione sulle relazioni storiche tra Nord Africa ed Europa in età antica partendo dalle fasi preistoriche e protostoriche del mondo berbero per arrivare alla colonizzazione fenicia, alla fondazione di Utica e Cartagine, alla politica mediterranea documentata dai trattati etrusco-cartaginesi e romano-cartaginesi, per arrivare ad Annibale e al pianto un po’ ipocrita di Scipione l’Emiliano; vent’anni dopo la rifondazione di Cartagine voluta da Gaio Gracco, poi da Cesare e da Ottaviano, la nuova urbanizzazione. Virgilio nel I libro dell’Eneide rappresenta i costruttori della Cartagine di Didone che si affaccendano come migliaia di api in un alveare al principio dell’estate per produrre il miele che profuma di timo.
Virgilio riassume il tema delle relazioni mediterranee nel mondo antico nell’episodio della tempesta raccontato nel I libro dell’Eneide: le navi di Enea, partite da Drepanum in Sicilia, dove è stato sepolto Anchise, arrivate all’altezza delle isole Eolie a Nordovest di Messina vengono disperse dai venti scatenati da Eolo, istigato da Giunone. La tramontana (Aquilo) investe la vela della nave di Enea e solleva le onde fino al cielo; si spezzano i remi e la nave, offrendo i fianchi ai marosi, è ormai incapace di governare; le onde frante in cresta minacciano la stabilità di alcune triremi, mentre le altre sono spinte verso le secche, dove si formano mulinelli di sabbia. Notus, il vento da Sud corrispondente all’austro, getta tre navi sugli scogli, su quei saxa latentia chiamati Arae dagli Itali, che si innalzano sul mare di Libia con un dorso smisurato. Euro poi, vento di Sud-Est (dunque lo scirocco), spinge altre tre navi (si noti la ripetuta triplicazione rituale), le incaglia sui fondali e le circonda a poppa e sui fianchi con un argine di sabbia, rendendo impossibile la navigazione; è appunto ad Euro che è attribuita da Enea la responsabilità maggiore della presunta perdita di 13 delle 20 navi. Una settima nave, quella dei Licii guidata da Oronte, viene investita di poppa da un’ondata ed affonda in un vortice dopo aver ruotato per tre volte su sé stessa; alla fine risulterà essere l’unica nave andata a fondo.
Anche altre navi si trovano in difficoltà, perché le ondate provocano ampi squarci lungo le fiancate, aprendo pericolose falle; alcune sono gettate dagli austri (ancora Noto) in vada caeca …./…. perque invia saxa, anche se poi gli Eneadi riescono a toccare terra.
Si discute sulla localizzazione della flotta di Enea durante la tempesta e sulla durata della navigazione inizialmente in direzione dell’Ausonia, il Lazio abitato dai Silvii e poi dai Latini, quindi verso la Cartagine di Didone: Servio identificava le Arae del v. 109 con le Arae Neptuniae o Propitiae, scogli tra Africa, Sicilia, Sardegna ed Italia; su tali scogli (residuo di una più vasta isola sommersa), scelti ad indicare il confine tra l’impero romano e l’area sottoposta al controllo cartaginese, sarebbe stato stipulato uno dei trattati tra Roma e Cartagine, forse quello del 234 a.C.: ibi Afri et Romani foedus inierunt et fines imperii sui illic esse voluerunt. Si tratterebbe dello scoglio Keith nella grande secca di Skerki, ove i fondali sabbiosi raggiungono a 4 metri di profondità e dove è certo difficile navigare col mare in burrasca, anche per le imbarcazioni di modesto pescaggio quali dovevano essere le triremi immaginate da Virgilio, a causa della forte corrente ed in qualche caso dei frangenti.
Alcuni Troiani avrebbero raggiunto la Sardegna, mentre Enea avrebbe navigato verso Sud raggiungendo Cartagine in costruzione (dove avrebbe conosciuto la Regina fenicia Didone):
Vrbs antiqua fuit, Tyrii tenuere coloni,
Karthago, Italiam contra Tiberinaque longe
ostia, diues opum studiisque asperrima belli.
Anche oggi dobbiamo partire dall’immagine dei costruttori di Cartagine, sulla Byrsa, gli architetti della regina Didone che Virgilio rappresenta affaccendati e impegnati nella costruzione della colonia fenicia, con le sue mura, con le sue torri, con i suoi templi. Appare evidente che Virgilio pensa alla colonia augustea che negli anni in cui scrive sorge come una grande capitale mediterranea ricca dei prodotti provenienti dall’ampio retroterra numida. Nel fervore degli structores Tyrii di Carthago, Enea profugo da Troia, è insieme hospes accolto con rispetto dalla Regina poi hostis maledetto per generazioni: egli osserva, con gli occhi di Virgilio, il solco dell’aratro che segna il limite sacro di una colonia, rinnovando il dolore e la speranza che anima coloro i quali costruiscono una nuova città, in contrasto con la sua originaria patria -Ilio- distrutta dalle fiamme. Non c’è dubbio che Virgilio rifletta nel racconto della Cartagine nascente l’esperienza urbanologica di età augustea in Africa, con il theatrum dalle immanes columnae della frons scaenae tratte dalle cave in cui maestranze addestrate lavorano indefessamente a trarre il materiale lapideo della nuova città. O ancora con le portae delle mura e gli strata viarum, le viae urbane silice stratae; la basilica giudiziaria; il teatro. I versi virgiliani esaltano l’attività degli uomini di buona volontà, anche se pure gli dei e le dee sono considerati a tutti gli effetti coinvolti in uno studium e in un’ars che nobilita chi la pratica. Più in generale, Virgilio trova le parole per rappresentare il paesaggio trasformato dall’uomo ai margini del lago di Tunisi, presso il tempio di Giunone eretto dalla regina, là dove si era compiuto il magico ritrovamento del teschio di un cavallo annunciato dall’oracolo. Del resto come dimenticare l’iperbole virgiliana di Melibeo già della prima Ecloga, At nos hinc alii sitientes ibimus Afros.